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Annus sacerdotalis

Quando, nel 2009, Benedetto XVI indisse l’Anno sacerdotale, io mi trovavo in monastero da dodici anni. I motivi che mi avevano portato a intraprendere la via benedettina furono sostanzialmente due: l’esigenza di assecondare un forte desiderio di contemplazione e l’urgenza di portare in salvo il mio sacerdozio da una situazione in cui non vedevo via d’uscita (vedi gli articoli precedenti di questa sezione, in particolare “L’8 settembre della Chiesa Cattolica”). Perciò, l’idea di un Anno sacerdotale, fu la manna dal cielo per me. Qualcuno nella Gerarchia, si interessava ai sacerdoti, e non più solo come manovalanza per l’organico diocesano. Qualcuno dimostrava di avere capito che le sorti della Chiesa, all’inizio del terzo millennio, erano necessariamente legate al recupero della figura sacerdotale e alla cura reale, non fittizia, di ogni singola vocazione. La santificazione dei sacerdoti, lungi dall’essere un reperto di epoche trascorse, era ancora la condizione senza la quale non può sussistere il laicato.

Proponendo come modello di riferimento il Santo Curato d’Ars, il Papa indicava le caratteristiche fondamentali del sacerdote cattolico: amore all’Eucarestia, dedizione al Sacramento della Riconciliazione, promozione della dottrina cristiana e devozione mariana. Inoltre, la santità di Giovanni Maria Vianney è legata indissolubilmente all’istituto della parrocchia. L’iniziativa di Benedetto XVI fu, dunque, coraggiosa e decisamente controcorrente rispetto alla propaganda, che identificava nella figura dell’operatore sociale il modello del prete moderno, sempre in uscita per andare incontro al mondo di fuori.  

Ecco un brano della lettera del 16 giugno 2009, con la quale Benedetto XVI annunciava l’apertura dell’Anno sacerdotale.

gli insegnamenti e gli esempi di san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo punto di riferimento: il Curato d’Ars era umilissimo, ma consapevole, in quanto prete, d’essere un dono immenso per la sua gente: “Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”. Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una creatura umana: “Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia...”. E spiegando ai suoi fedeli l’importanza dei sacramenti diceva: “Tolto il sacramento dell'Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest'anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo”. Queste affermazioni, nate dal cuore sacerdotale del santo parroco, possono apparire eccessive. In esse, tuttavia, si rivela l’altissima considerazione in cui egli teneva il sacramento del sacerdozio. Sembrava sopraffatto da uno sconfinato senso di responsabilità: “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... Il prete non è prete per sé, lo è per voi” …

Queste furono le parole che mi resero ancora più consapevole del tesoro che portavo dentro di me. Da allora avrei cercato di difenderlo a tutti i costi. Per questo avrei dovuto liberarmi persino dalle esigenze inopportune di certi superiori, che ormai stavano perdendo, con ogni evidenza, la concezione cattolica del sacerdozio. Avrei dovuto liberarmi ancor più dalle esigenze effimere dei fedeli che cercavano sacerdoti accondiscendenti.  Non cercavo più conferme e approvazioni. Non mi interessava il giudizio delle persone e neppure il loro disprezzo.  La responsabilità verso il Signore era tale, che avrei combattuto in tutti i modi per esprimere il mio sacerdozio, così come voleva Dio.

Avevo sempre amato i Sommi Pontefici in quanto Vicari di Cristo e garanti della fede apostolica, ma Benedetto XVI mi conquistò con l’indizione dell’Anno sacerdotale 2009-2010.

Link per leggere la lettera per intero:

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